Monumentale opera di Angelo De Gubernatis che descrive magistralmente le 252 illustrazioni della superba collezione di disegni di Bartolomeo Pinelli. Oltre ai disegni, il De Gubernatis tratta centinaia di eventi, di Dei e di Eroi mitologici, le loro imprese e le loro vite. Introvabile ed imperdibile.

*[testo tratto tramite google-immagini da una foto dell'introduzione del libro, con prevedibili errori di riproduzione automatica]

Ogni popolo, più o meno rozzamente espressa, ebbe una certa mitologia. Anche tra i popoli più selvaggi si ritrovarono traccie e frammenti di un mondo mitologico. Lo stesso feticcio più basso, più umile, è indizio di una mitologia incipiente, che rimase al suo primo stato rudimentale.

Come nel mondo naturale, si vedono animali quasi informi, l'organismo de' quali non si svolse fino al suo compimento e non ebbe alcun progresso, così, nell'ordine spirituale, l'estrinsecazione del pensiero e del sentimento si fece in una forma cosi povera, cosi oscura, che, a mala pena, per la sua grande semplicità, quasi elementare, si può discernere. Altri rappresentanti della stirpe umana raggiunsero, invece, una tal perfezione fisica ed intellettuale, da poter apparire semidei, e servire quali modelli all'artista che volea significare la perfezione divina. L'ideale s'alza dove s'alza la realtà; ora, poichè in nessun paese più che in Grecia, presso nessun popolo meglio che tra gli Elleni, la vita reale fu più splendida, e l'uomo rivelò maggior bellezza, era naturale che la mitologia più alta, più nobile, ed esteticamente più perfetta avesse a riuscire la mitologia greca. La mitologia indiana ha linee vaste e grandiose. Quell'India che aveva i più larghi e lunghi fiumi, le più alte montagne, la fauna più colossale, la vegetazione più esuberante, dovea pure figurarsi la divinità in modo solenne e creare idoli giganteschi e attribuir loro storie fantastiche e meravigliose.

Quando i popoli arii erano ancora riuniti, e quelli che divennero più tardi gli Indiani, vivevano ancora presso quelli che più tardi divennero gli Elleni, il loro modo di concepire, di sentire, di venerare, di adorare, di cantare, di rappresentarsi la natura era uno solo. Dotati gli Arii di una grande impressionabilità, per naturale impulso, si rappresentavano poeticamente il mondo esteriore, e colorivano i varii aspetti della natura circostante in un linguaggio immaginoso.

Quando poi si separarono in varii popoli, anzi in varie razze, e divennero gli Indiani, gli Irani, gli Slavi, gli Scandinavi e Germani, i Celti, gli Elleni e i Latini, in faccia ad una natura diversa, in altro ambiente civile, anche le loro mitologie presero nuovi aspetti etnici; esse, pertanto, riuscirono, in parte, il riflesso di un nuovo mondo, se così può dirsi, nazionale; in parte, per la loro essenza medesima, riuscirono ad imprimere alle nazioni un nuovo carattere speciale.

La mitologia bene intesa, come la religione, è la espressione più alta e più poetica del carattere di un popolo; la linea estetica è una linea pittoresca e scultoria che rende la fisio- nomia morale e intellettuale del popolo che l'accoglie o la crea e poi l'ammira. Se la paurosa genuflessione del volgo innanzi all'idolo può parere indizio di una certa cecità di mente, l'esaltazione dell'idolo che viene fatta dall'artista, la sua trasfigurazione in una forma luminosa è l'affermazione più schietta della potente idealità di un popolo. Ora di questa idealità suprema la Grecia e l'Italia hanno il vanto.

Nella mitologia indiana, si celano profondi misteri, sensi arcani e spiritualità squisite, accanto a materialità grossolane e grottesche. Dal Krishna osceno dei saturnali del volgo indiano si passa al Krishna spiritualizzato della filosofia teologizzante che rende in esso l'espressione

dell' infinito amor divino; dal Siva fallico si arriva ad un Siva tutore della felicità domestica; dal Brahma maschio si sale allo spirito puro che penetra, col suo soffio, l'universo; l'antitesi è continua nella mitologia indiana, e non manca di una certa pompa e magnificenza; ma, appunto per questo contrasto fra la materialità più bassa e la spiritualità più alta, si produce facilmente, nell'India, il grottesco, del quale la letteratura ci reca numerosi indizii.

Nella mitologia slava si passa dalla forma embrionale de' miti primigenii naturalistici al periodo eroico delle Biline. Ci mancano ora gli intermediarii; ci manca la rivelazione artistica delle prime divinità; se non fossero le ballate eroiche, che ci danno un epos elementare, non potremmo neppure immaginare l'olimpo slavo; noi passiamo tosto dal misterioso, mal definito, nume meteorologico che si cela nella nuvola tempestosa e tonante, senza transizioni, all'eroe già fatto. Nella mitologia scandinava e germanica è pure una gran confusione e un grande mistero; essa reca indizio di una civiltà guerriera, quasi selvaggia, dove anche le donne combattono. C'è forza, c'è tumulto; ma il cielo non vi si schiarisce isce quasi mai; è il vero cielo nordico, dove il sole stesso sembra vincere le sue battaglie per sola forza di magia. È una mitologia tetra e paurosa, che ci atterrisce più che non ci alletti, monotona, nella sua stessa terribilità. Qui poi ancora, come nella mitologia slava, oltre al sospetto che una parte del mito sia già un riflesso cristianeggiante del mito biblico, per ciò che riguarda la tradizione cosmogonica, si passa dalle prime fantasie sulla creazione del mondo, di botto, agli eroi e alle eroine delle saghe, senza anelli di congiunzione, senza alcuna ragionevole genealogia, che ci faccia vedere o intravedere l'eroe come il naturale continuatore dell'opera divina, quale si rivela nell'epopea iranica e nell'epopea ellenica.

Del mondo mitologico celtico abbiamo soli frammenti sparsi; il mondo eroico che si rivela da' suoi cicli leggendarii è già troppo vicino a noi, perchè si possa ricostruire sopra di esso un primo Olimpo celtico, che si dissipa invece, innanzi, a noi, come la razza stessa de' Celti che Giulio Cesare ci aveva rappresentata come inquieta e vagabonda. Manca dunque alle altre mitologie quella forte compagine, che fa della mitologia ellenica 'un organismo compiuto. Nel mondo greco e latino soltanto, ma più specialmente nel greco, il mito originario ebbe una larga fecondazione e diramazione.

La storia, per un esempio, del mito di Prometeo meteo è la prova più evidente della capacità dell'uomo elleno a trasformare la rozza materia prima in alta figura ideale.

Nella sua prima origine asiatica, il mito elementare di Prometeo differisce assai poco, nella sua forma e sostanza, dal rozzo feticcio ciecamente venerato dai popoli selvaggi. La sua origine fallica è stata bene dimostrata da un lavoro sapiente di Adalberto Kuhn, che pose, insieme coi Saggi di Oxford di Max Müller, le prime fondamenta della mitologia comparata.

Ma l'idolo fallico ravvivato in Grecia prende figura di eroe e di martire divino; Prometeo diviene un amico previdente degli uomini, che, a perpetuarne la vita, a renderli quasi immortali, sulla punta della sua ferula, rapisce il fuoco al cielo e lo comunica alla terra, e solleva, per questo furto audacissimo, lo sdegno degli Dei, ai quali il genio immaginoso ed appassionato de' Greci attribuisce tutti gli amori e tutti gli odii de' quali l'uomo è capace, in una proporzione più vasta, con maggiore potenza e con più vivo splendore. L'uomo elleno esprime tutta la sua maggior capacità ideale con la rappresentazione animata di un Olimpo che lo sovrasta, ben popolato, ricco ricco di figure mobili, che che s'intrecciano e si moltiplicano all'infinito, alimentando una specie di epopea luminosa, che digrada, per mezzo de' Semidei e degli Eroi, fino all'epopea terrestre, quasi per mezzo di una scala piena di visioni fantastiche.

Si può dire che il genio greco ha incominciato a sollevar molto in alto i suoi numi, per levarli dagli altari dell'idolatria, dove sarebbero rimasti fermi, immobili, incapaci di trasforma- zioni, per poterli ammirare in una più vasta e completa adorazione, per dar loro una indipendenza, un'agilità, una potenza, che, ridotti all'immobilità, non avrebbero mai potuto conseguire. Nel primo periodo della mitologia, la creazione de' stupendi fantasmi divini non è ancora determinata da alcuna arte; la poesia, la scultura e la pittura, meravigliose manifestazioni artistiche del genio greco, non erano ancora nate, e furono soltanto il frutto di una civiltà matura e non più ingenua.

Ma la poesia penetrava già segretamente il linguaggio e la vita degli antichi Elleni, i quali, come fanciulli immaginosi di vivacissimo ingegno, sentivano, per istinto, il bisogno di muovere e di levare in alto i loro numi. Dopo averli collocati in una regione superiore, ammirarono, come in uno specchio, l'opera propria stupendamente riflessa, e se ne compiacquero, come la Bibbia vuole che il Creatore, dopo avere dato vita, col soffio divino, ad un mondo armonico, si trovasse soddisfatto dell'opera sua.

Quell'ideale, al quale, di solito, si arriva per effetto di lunghi sforzi, il genio ellenico intui, solo tra i popoli della terra, per impeto di una prima, súbita meravigliosa inspirazione. Quando poi vide animarsi l'Olimpo di alte e luminose figure, esse diventarono tipiche, e servirono, alla loro volta, come modelli di nuova perfezione ideale, sulla terra, all'uomo elleno, il quale perciò, per le sue gesta, apparve un eroe, e per le sue opere, un artista divino.

L'Elleno che avea fatti così belli i suoi numi, dovea pure imitarli e rappresentarli mira- bilmente. E, in questo studio di rappresentazione, la primitiva mitologia subi numerose trasfor- mazioni ed una fecondazione infinita.

Da Esiodo ad Omero, da Omero ad Eschilo, da Eschilo a Fidia, da Fidia alle statuette di Tanagra e ai pittori dei vasi greci, per venir giù fino ai mosaici e alle pitture murali di Ercolano e di Pompei, la leggenda del nume si è sempre venuta alterando; ma la varietà, anzi che nuocere alla prima bellezza, l'accrebbe.

L'artista che plasmava, con una materia già fine, le sue figure ideali, di delicatezza in delicatezza, arrivò fino alla favola vaghissima di Psiche, l'angelica farfalla, che può dirsi il riflesso femminino della favola di Prometeo; incominciati entrambi da una scena erotica, Pro- meteo e Psiche suscitano l'invidia degli Dei, e, a traverso a un lungo martirio, arrivano alla espiazione, alla purificazione, alla redenzione.

La varietà de' miti permise pure una varietà di teorie mitologiche; secondo che gli esegeti si fermarono a contemplare l'uno o l'altro mito, e, in uno stesso mito, l'uno o l'altro aspetto, il primo o l'ultimo stadio, stabilirono principii molto diversi d'interpretazione, principii che hanno quasi tutti qualche cosa di vero e qualche cosa di falso; di vero, se riguardino un dato periodo, di falso, se vogliano stabilire una legge assoluta, per applicarla a tutta la serie complicata delle vicende per le quali il mito è passato nella sua varia evoluzione.

Lo studio della mitologia ellenica è molto arduo, specialmente a motivo delle numerose sfumature delle quali giova tener conto, per dare ad ogni forma mitica il carattere speciale dell'età in cui si manifesto, e il motivo etico od estetico che potè determinarla. Alcuni di questi momenti e di questi motivi ci sfuggono. Mancano, nella stessa storia poetica ed artistica dei miti ellenici, pur così riccamente documentata, alcuni intermediarii; e poi con una materia così fine, fatta, si può dire, talora, di soli soffi, è difficile che si riesca a colpir sempre nel vero, quando si voglia tutto spiegare. Rimane pur sempre qualche cosa di vago nel mondo fanta- stico, che non si lascia fissare con precisi contorni; le ombre danzano, s'inseguono, rientrano le une nelle altre, e in modo spesso diverso; cosi i colori; in questo giuoco della luce, anche l'occhio più penetrante e più veggente, può lasciarsi turbare da qualche illusione. È dunque soltanto possibile lo spiegare i miti in modo approssimativo. Ma io ripeto che si spiegheranno meglio soltanto quando si sappia tener conto che, se bene in Grecia più che altrove il nume fin dalla sua prima manifestazione apparve alto e luminoso, esso prese varia figura nella sua sola lunga evoluzione a traverso la storia della civiltà ellenica.

Altre trasformazioni subirono i miti ellenici, passando dal suolo ellenico al suolo latino; I'Heracleo greco non è più precisamente l'Ercole latino; l'Afrodite e la Venere, Artemis e Diana, Hera e Giunone, Febo ed Apollo, Ares e Marte, Zeus e Giove, se bene rivelino la loro comunanza d'origine, presentano alcuni caratteri tra loro così diversi, da poter quasi indurci a credere che, invece di riflessi latini di miti ellenici, siansi generati spontaneamente sul suolo italico; il che non è sempre, dovendosi più tosto riconoscere che i numi d'Ellenia, passando in Italia, si spogliarono innanzi agli Etruschi e innanzi ai Latini d'alcuni loro attributi, per assumerne altri nazionali, per i quali la mitologia latina, creando pure la religione del Lazio, poteva risponder meglio alla nuova civiltà che si veniva instaurando. Nelle Metamorfosi d'Ovidio e nell' Eneide virgiliana, noi assistiamo a questo lavoro di confusione materiale e di fusione artistica delle due mitologie, le quali si continuano, e, sotto un certo aspetto, si vengono pure compiendo. Quando poi giunge il Cristianesimo avviene una nuova fusione; i misteri orfici, i riti e le dottrine de' Gnostici, lo spiritualismo platonico aveano già preparata la via alla trasformafiSIzione de' miti; la favola allegorica di Psiche pronunzia giustian big punti visioni del mondo de antiche feste pagane si convertono in feste cristata gli antichi numi si trasfor cristiane si occultano, per rivelarsi in una figura più pura e più alta; Giunone maestosa, Difor mano Venere amorosa, si oscurano per riunirsi nella Madonna Cristiana; e la luce di Cristo conai nostri artisti del Rinascimento dovettero sentire la continuità ideale del mondo mits. nasconde quella d'Apollo. logico nel mondo cristiano, e però ripresero a trattare gli antichi miti, con freschezza e spon taneità d'ispirazione.

In queste nuove colorazioni artistiche, dal Quattrocento fino al Canova e a Bartolomeo Pinelli, non si può dire che gli Dei e le Dee d'Ellenia abbiano perduto grazia e vigore; sola- mente, quella semplicità ingenua della prima creazione è venuta meno; l'arte s'è fatta più maliziosa; la conoscenza che ha l'artista moderno del senso arcano di molti miti vieta ch'egli si contenti di rappresentarli nella loro semplicità elementare; e nel valersi come l'artista greco della sua libertà di variare le forme della rappresentazione primitiva, la spinge talora fino all'audacia e alla intemperanza, disturbando, con la sua interpretazione, la serenità del primo concepimento mitologico. D'in D'interprete in interprete, la mitologia ellenica è venuta acquistando un carattere molto complesso, che rende molto malagevole ai giorni nostri una perfetta classi ficazione e una storia diligente de' miti, non essendo facile staccare dal quadro antico mitologico la sua moderna vernice senza guastarlo, il mito artistico dal mito popolare tradizionale; poichè anche l'arte ebbe le sue tradizioni, e molte figure mitiche che ora possiamo credere autentiche e genuine non sono altro se non i fantasmi luminosi dell'artista potente che le ha vagheggiate. Cosi noi vediamo ora più spesso la Fortuna nelle rappresentazioni di Michelangelo e di Guido Reni, che nelle più remote sue figurazioni ideali; le Veneri voluttuose del Tiziano sembrano sedurci più d'ogni antica descrizione delle glorie d'Afrodite; il bacio di Giove ad Io del Correggio, nella sua mondanità sensuale, c'imprime nella mente la più espressiva immagine di quel mito.

Ogni artista d'ingegno che interpreta il mito, in qualche modo lo ricrea; cosi ha fatto il Pinelli, leggendo le Metamorfosi d'Ovidio, e interpretandole, in gran parte, nella sua vasta galleria mitologica.

Noi faremmo ora cosa arbitraria ed ingiusta se ricercassimo nel Pinelli soltanto una esatta rappresentazione de' miti d'Ellenia e di Roma, in conformità delle nozioni che se ne possono ritrarre dagli antichi poeti; poichè richiederemmo da lui solo quello che non si può trovare in alcuno de' grandi artisti che prima di lui, dal tempo di Zeusi, di Apelle, di Parrasio fino a noi, impresero a trattare soggetti mitologici; i poeti stessi che precedettero i pittori e gli scultori aveano, dal più al meno, tentato tutti, con le loro eleganti descrizioni mitologiche, di rispondere alla coscienza popolare, e di farsi eco d'una tradizione; ma poichè le tradizioni del popolo variano pure secondo i luoghi ed i tempi, e poichè la coscienza popolare è assai vaga, anche attingendo ad essa, i poeti hanno potuto variare la rappresentazione d'uno stesso mito. Ora, se questa varietà di rappresentazione, quando la realtà del mito era ancora presente, anzi quando il mito era ancora in istato di seconda gestazione storica e di attiva evoluzione ideale, quanto più si comprende che artisti lontani da quel mondo mitico abbiano potuto rappresen tarselo l'uno dall'altro in figura molto diversa! La intuizione del genio supplisce spesso al difetto di tradizione, e di queste intuizioni Bartolomeo Pinelli ne ebbe alcuna volta di felicissime. Del resto, pieno quale egli era delle memorie dell'antichità classica di Grecia e di Roma, noi pos siamo immaginarci facilmente ch'egli dovea interpretare i miti d'Ellenia e di Roma con la stessa facilità e fedele eleganza con la quale gli artisti greci e romani del tempo d'Adriano, già lontani dal grande periodo d'incubazione mitica, li venivano interpretando nelle statue, nelle pitture murali, nelle gemme e ne' cammei. E poi cosa certa che, nell'arte sua, il Pinelli ha sentito assai più il mondo classico che il mondo cristiano; e, a motivo di questo sentimento in lui quasi istintivo, egli poteva pure rivelarcelo con sincerità. Noi possiamo pertanto seguire la mano dell'artista transteverino, che disegna una gran serie di miti d'Ellenia, con una certa fiducia ch'egli non ci allontanerà da quel mondo di divini fantasmi, ne' quali il suo facile genio si è maggiormente compiaciuto.

ANGELO DE GUBERNATIS.