L'ultimo delicato romanzo di Pitigrilli, pieno di una ironia ormai antica, chiuso pochi mesi prima della morte e dedicato all'ultimo e forse unico sostegno della seconda sventurata fase della sua vita, quella dell'ostracismo e dell'isolamento, dell'esilio anche e della damnatio memoriae di un grande scrittore del XX secolo, brillante e temuto, temerario anche e spericolato, ridotto da alcuni suoi errori ma anche e soprattutto da invidie e opportunismi di colleghi, a semplice "spia". Quell'alleata è la moglie, Lina Furlan, una grande giurista torinese, una delle prime donne penalista in Italia
In DOLICOCEFALA BIONDA, l'autore apre uno squarcio ironico, e a volte amaro, sulla vita di un medico-mago, affarista intraprendente, amatore di successo e intellettuale brillante. Avventure paradossali, personaggi da operetta, drammi profondi sempre attraversati da un'ironia diffusa, ci intrattengono amabilmente per farci apprezzare ancora di più la brillante intelligenza dell'autore
e probabilmente prima traduzione italiana dal tedesco
Rilegato in mezza pelle, con fregi e caratteri dorati al dorso, piatti marmorizzati; cm 16,5x10,3; pp 310
un "quadro" dei complessivi dodici di Familiengeschichten, "Storia famigliari", dello scrittore romantico tedesco che fu massimamente di moda negli anni napoleonici, passione delle lettrici altolocate del tempo, oggetto di discussione nei circoli, in ogni antiporta indicato come "autore preferito del re", tutta gente in carca di svago e rilassamento e i cui gusti Lafontaine sapeva rievocare nei sui sentimentali "quadri di famiglia in interno, con signora"