Elenco dei Libri per l'Autore: MASSI Francesco

MASSI, Francesco. – Nacque a Roma il 24 luglio 1804, da Tommaso, sovrintendente del Museo Vaticano, e Maria Orlandini. Avviato agli studi letterari sotto la guida del prefetto della Biblioteca Vaticana, G. Laureani, gli dedicò la prima edizione dei suoi Monumenta Vaticana (Roma 1854).

Di quegli anni giovanili il M. ricorda il suo amore per Virgilio e l’apprendimento dell’Iliade e dell’Odissea attraverso le eleganti traduzioni, in esametri latini, rispettivamente di R. Cunich e di B. Zamagna, due gesuiti dalmati di raffinata cultura classica. Anche lo studio di Teocrito, che esercitò notevole influenza sull’ispirazione poetica del M., fu favorito dalle versioni di Cunich.

Approfondita la conoscenza della lingua latina, fu chiamato, appena diciassettenne, a insegnarla nei seminari di S. Salvatore Maggiore, in Sabina, e di Velletri. Divenne, quindi, scrittore latino della Biblioteca Vaticana. Nel 1843 fu accolta dal pontefice Gregorio XVI la sua domanda di essere nominato coadiutore cum futura successione di L.M. Rezzi, professore di eloquenza latina nell’Università della Sapienza. Nel 1851 gli subentrò nella cattedra, alla quale era connesso l’insegnamento di storia.

Il metodo delle lezioni era quello umanistico tradizionale della lettura mnemonica, del commento sintattico, della comparazione letteraria senza l’approfondimento filologico, storico-linguistico, già diffuso nella critica tedesca ed europea. Nell’insegnamento, pur svolto con competenza, non sempre fu ossequiente alle norme che regolavano la vita universitaria, assentandosi talvolta arbitrariamente, come nel 1858, quando fu perfino sospeso dallo stipendio, o nel 1868, allorché fu «esortato» dal rettore dell’Università romana a «una più esatta e diligente frequenza alla sua Cattedra» (Arch. di Stato di Roma, Università di Roma, b. 299).

Il M. restò in cattedra nell’Università romana fino al 31 luglio 1871, allorché fu sospeso dallo stipendio con decreto del ministro della Istruzione pubblica, C. Correnti, insieme con V. Pellegrini, professore di chirurgia veterinaria, con la motivazione di «gravi e ripetute mancanze alle discipline accademiche».

Il M. decadde dall’insegnamento per aver rifiutato di aderire al nuovo Regno d’Italia, considerandosi suddito del papa. Egli aveva inneggiato al rientro di Pio IX a Roma, nel 1850, e alle truppe francesi che ne avevano favorito il ritorno. Considerò «torbidi» quei tempi che avevano minato il potere temporale del Papato e giudicò infausta la spedizione di G. Garibaldi in Sicilia. Il suo mondo rimase quello del Vaticano e dei quartieri romani, dove talvolta componeva, nei caffè, versi italiani e latini, e dal quale non volle allontanarsi, neppure quando fu chiamato dall’Università di Oxford per l’insegnamento del latino. Rimase fedele a questa visione politica in modo convinto, come si evince dalla sua opera, ma egli era soprattutto immerso nella sua vocazione letteraria e nella cura della numerosa famiglia, composta dalla moglie, Violante Pirani, e da dodici figli.

Il M. fu contemporaneamente poeta italiano e latino. Affermò di essere stato ispirato alla poesia latina da un carme di Baldassarre Castiglione che poteva gareggiare con i poeti dell’antica Roma (Magni, p. 181). Nel 1840, a Roma, era comparsa la sua prima opera, un Saggio di rime illustri inedite del secolo XIII scelte da un codice antico della Biblioteca Vaticana, contenente quindici sonetti, di cui due di G. Guinizzelli, e due canzoni di autori poco noti o anonimi. Nello stesso anno il M. pubblicò, ancora a Roma, un Saggio di versi italiani e latini, con sei componimenti in italiano e quattro in latino.

In questo primo saggio di poesia già appaiono i motivi che ispirarono la successiva produzione poetica del M., incentrata, principalmente, su argomenti religiosi e sulle opere dei Musei Vaticani, di Roma e del Lazio. Egli descrive in terzine la prigionia di s. Pietro e di s. Paolo nel carcere Mamertino e in ottava rima la liberazione di s. Pietro a Gerusalemme, mentre in esametri latini celebra il Museo Egizio e la nuova collocazione della Pinacoteca Vaticana voluta da Gregorio XVI. Seguì poi un volume di Poesie italiane e latine (Roma 1843) con una più ampia raccolta di componimenti.

Nel 1865 il M. diede alle stampe le Notti vaticane (ibid.), un poema di venticinque canti che si apre con il ricordo della notte del 22 sett. 1842, quando fu distrutta la quercia del Tasso sul colle S. Onofrio. Nei canti compaiono molti personaggi storici, da Gregorio Magno a Carlomagno a Cristina di Savoia, ma protagonista è soprattutto Matilde di Canossa. Due anni dopo, riprendendo il motivo a lui caro della prigionia dei santi Pietro e Paolo, in occasione del diciottesimo centenario del martirio, pubblicò un melodramma in due atti intitolato Il Carcere Mamertino (ibid. 1867), che fu posto in musica da G. Pacini. Nel 1868, sempre a Roma, pubblicò una seconda edizione ampliata dei Monumenta Vaticana antiquarum artium versibus illustrata cum notis, contenente anche le Inscriptiones, aliaque prosa et poetica.

Nel volume confluirono settantanove componimenti latini, trentadue iscrizioni, di cui due dedicate ai genitori, alcune altre a Pio IX e quindi dieci diversi testi, tra cui la De studio Latinitatis oratio, tenuta nell’archiginnasio romano, con vari riferimenti autobiografici.

Il M. continuò a coltivare il genere drammatico pubblicando una tragedia in cinque atti, ambientata a Gerusalemme e ispirata al Libro dei Maccabei, che intitolò Razia (ibid. 1872). Nello stesso volume raccolse un dramma lirico in cinque atti, Il sonno di Cristo, due nuovi poemetti in terzine (uno su L’imperatrice Eudossia Atenaide, moglie di Teodosio Giuniore al Santo Sepolcro, l’altro su Giulio II e Bramante. Origine del nuovo tempio di S. Pietro), e un canto, in ottava rima, su La Maddalena, giudicato «superbo» da G. De Felice, che attribuì un giudizio positivo sulle poesie del M. anche a F. De Sanctis (De Felice, pp. 344, 347). Due anni più tardi apparve una fra le opere più significative del M., Il Lazio poeticamente descritto nelle sue memorie illustri con note storiche e filologiche (Roma 1874).

Il volume, dedicato alla marchesa Teresa Venuti, contiene centoventidue sonetti con l’ambizione di comporre un libro di «poesia storica […] grave negli argomenti, varia nel colore delle descrizioni e piacente nella rima» (pp. 10 s.). A commento di ogni sonetto il M. aggiunse note di chiarimento con rimando alle fonti letterarie e storiche, che dimostrano la vasta conoscenza che egli ebbe del mondo antico.

In età matura, dopo aver dato alle stampe un poema epico (La Lega lombarda, 1876), il M. tentò di affrontare, come egli scrisse, «i maneggi della vita sociale» attraverso il genere satirico, ispirandosi a Orazio. Ne derivò un volume di venticinque Satire morali (ibid. 1880), poco incisive, in una delle quali espresse il suo entusiasmo per le avventurose esplorazioni geografiche di P. Matteucci. L’ultima fatica letteraria del M., dopo il poemetto in dieci canti La fuga in Egitto ( 1881), si compì con la pubblicazione de Le catacombe romane (ibid. 1884), dedicate a papa Leone XIII.

Il poema, in diciannove canti, si apre con il ricordo di S. Damaso, custode delle catacombe e si estende a tutte quelle più famose di Roma, con riferimenti anche alle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo.

Oltre a Razia, il M. scrisse altre tragedie, rimaste inedite: Piero delle Vigne, Cangenia dei Tolomei, Agrippina di Germanico e Corso Donati. La prima, consegnata a un capocomico, andò perduta; la seconda fu rappresentata a Roma, nel 1858, da T. Salvini e da Clementina Cazzola.

A un Francesco Massi indicato come scrittore vaticano e professore dell’Università di Roma è attribuita una Biographie du souverain-pontife Pie IX, tradotta in francese da Adrien Camusat de Riancey nel volume I (Paris 1869, pp. 3-131) della vasta opera curata da Victor Frond Actes et histoire du Concile oecuménique de Rome MDCCCLXIX, pubblicata a Parigi in otto volumi tra il 1869 e il 1873. Di questo lavoro, ben documentato e vivacemente scritto, non v’è traccia del testo italiano, né viene citato dai primi biografi del Massi.

La poesia italiana e latina del M. fu sorretta soprattutto da una fertile immaginazione. Mancò al M. l’ispirazione lirica, artificiosa è la sua costruzione poetica, non priva, comunque, di capacità inventiva, di varietà nelle descrizioni, di freschezza nel rappresentare attraenti paesaggi naturali. Lo stile dei sonetti, che richiamano i modelli settecenteschi, è fluido e gradevole, ben diverso dalla enfasi della sua prosa. Più felice il M. risulta nei componimenti latini, dove rivela notevole versatilità e padronanza di lingua che usa con eleganza e grazia, ma anche con buona espressività.

Il M. morì a Roma il 16 marzo 1884.


(fonte: Treccani)

Francesco MASSI, LA LEGA...

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un testo raro

prof. FRANCESCO MASSI

LA LEGA LOMBARDA - Poema Epico

Roma, Tipografia della Pace, 1876

Rilegatura rigida rivestita in tessuto rosso, pp 370, cm 15x22,5, segnalibro in stoffa

la più rara delle opere del poeta "italiano e latino", accademico, classicista e umanista romano, legato al mondo papalino, tale da rifiutarsi di prestare giuramento al Regno d'Italia, quale pubblico funzionario, e, reputandosi ancora "suddito papalino" perdette la cattedra e lo stipendio. Qui narra le gesta di Alberto da Giussano e della Lega Lombarda contro gli imperatori del Sacro Romano Impero e il Barbarossa.

 
Qui, parlando d'altro, in qualche modo si ripercorrono anche i miti fondatori dell'"altra" delle Leghe Lombarde, quella di Bossi: a cominciare dal Giuramento di Pontida